L’art. 35 del D.lgs. 198 2006
L’impugnazione di licenziamento causa matrimonio è possibile in quanto trova fondamento nella legislazione che tende a tutelare le lavoratrici. L’articolo in questione non lascia il minimo dubbio sulla nullità dei licenziamenti perpetrati nel periodo compreso tra la pubblicazione delle nozze e un anno dopo il matrimonio. Il legislatore vuole tutelare soprattutto le donne che in realtà sono una categoria debole della società in quanto pilastro della famiglia. L’art. detta che le clausole dei contratti collettivi o individuali che prevedano il licenziamento causa matrimonio sono nulli. Inoltre, sono nulli tutti i licenziamenti disposti causa matrimonio della lavoratrice. Si presuppone che la causa del matrimonio sia da imputare alla celebrazione del matrimonio.
La legge era stata fatta, quindi, per tutelare le donne che essendo pilastro portante della famiglia erano svantaggiate in quanto, dopo matrimonio la possibile gravidanza portava ad una serie di situazione, in genere poco gradite ai datori di lavoro. Qualcuno, ricorreva al licenziamento appena c’era notizia di un matrimonio imminente. In vista della formazione di una famiglia con la possibilità di avere dei figli, la posizione lavorativa della donna si complicava. Doveva rimanere a casa per la gravidanza, l’allattamento e per gestire il primo anno di vita del bambino.
L’impugnazione di licenziamento causa matrimonio, quindi, trova fondamento rendendo nulle le possibilità del datore di lavoro di licenziare un dipendente che decide di formare una famiglia. La legge tende a tutelare, infatti, la formazione di nuovi nuclei familiari creando condizioni che garantiscano il loro sostentamento.
Quando un licenziamento viene dichiarato nullo è possibile avere rimborsi e indennità. Intanto, bisogna che il datore di lavoro provveda al reintegro sul posto di lavoro. Quindi, provvedere al rimborso di tutte le retribuzioni spettanti. Infine, bisogna provvedere al versamento dei contributi. Importante è da considerare che il licenziamento avvenuto nell’anno di matrimonio è da considerarsi nullo anche con preavviso disposto prima e giustificato come chiusura del ramo di attività.
Casi in cui il licenziamento è ammesso
L’art.1 L. 26 agosto 1950, n. 860 fa rientrare nella disposizione, le lavoratrici gestanti e puerpere che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati, comprese le lavoratrici dell’agricoltura nonché a quelle dipendenti dagli uffici e dalle aziende dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti
pubblici. L’art.3, invece, dispone che le lavoratrici rientranti nell’art. 1 non possono essere licenziate durante il periodo di gestazione, di interdizione da lavoro e comunque fino al compimento di 1 anno di età del bambino. Tuttavia, però vi sono alcuni casi l’impugnazione di licenziamento causa matrimonio non è possibile nei seguenti casi:
- per colpa della dipendente lavoratrice, in quanto costituisce giusta causa;
- per cessazione di attività cui la lavoratrice è addetta;
- conclusione dell’attività per la quale era stata assunta la lavoratrice o comunque per risoluzione a scadenza del contratto, se quest’ultimo non era un lavoro a tempo indeterminato.
L’impugnazione del licenziamento causa matrimonio, quindi, può essere condotta se ci sono tutti i presupposti precisi dalla legge a tutela delle donne lavoratrici. Il voler formare una famiglia non deve un ostacolo alla realizzazione economica dei lavoratori. Anzi, deve essere visto come una normale evoluzione esistenziale della donna ma anche dell’uomo. A proposito di ciò spesso si parla di pari opportunità per uomo e donna. Come se i benefici previsti per la donna lavoratrice potessero essere estesi anche all’uomo.
Direttiva europea 5 luglio 2006 n.2006/54/CE
A livello europeo anche la Corte di Giustizia ha emanato leggi che tutelano la donna lavoratrice e la famiglia estendo alcuni diritti anche all’uomo. Nell’art. 24 si ribadisce il principio di parità di trattamento e protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e maternità. Solo che di fatto, il Legislatore non trova ammissibile poter estendere questi diritti anche all’uomo, in quanto trattasi di condizione diversa, non giustificabile. L’impugnazione di licenziamento causa matrimonio si verifica soprattutto nei casi in cui il datore prevede che una volta sposata la dipendente innesca, appunto, una serie di procedure che sono per legge ammesse. L’assenza giustificata, il versamento dei contributi e tutto ciò che per diritto le spetta. Quindi, il licenziamento sarebbe una scappatoia in via preventiva.
Estendendo, quindi, lo stesso diritto all’uomo di impugnazione di licenziamento causa matrimonio potrebbe essere una valida soluzione. Ma sembrerebbe come voler sminuire un diritto delle donne che per natura hanno, ovvero di mettere al mondo dei figli.