L’Accordo interconfederale del 7 agosto 1947 introduceva per la prima volta la nozione di licenziamento collettivo per riduzione di personale, in quanto traeva origine proprio dall’esigenza di sottrarre i licenziamenti collettivi dalla disciplina restrittiva dei licenziamenti individuali. Infatti, la disciplina vigente per i licenziamenti individuali era quella che imponeva al datore di lavoro di giustificare sempre il recesso.
A tal proposito, l’accordo del 1947 identificava i licenziamenti collettivi come quelli che si giustificavano per l’esigenza di riduzione o di trasformazione dell’attività o di lavoro, per i quali non v’era alcun obbligo motivazionale.
La ragione sottesa a tale differenza di trattamento risiedeva nella considerazione che i licenziamenti collettivi sono un aspetto del generale potere di organizzazione intrinseco all’interesse dell’impresa.
Attualmente la disciplina dei licenziamenti collettivi è regolata organicamente dalla l. n. 223 del 1991.
Che cos’è il licenziamento collettivo
Quando senti parlare di licenziamento collettivo altro non è che una procedura di mobilità che il datore di lavoro adotta laddove ricorrano una delle due condizioni previste dalla l. n. 223 del 1991.
Un primo caso può verificarsi quando il datore di lavoro, il quale ha già avviato sospensioni dal lavoro con l’intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non poter risanare le finanze e quindi di superare la CIGS.
Un secondo caso può aversi allorquando il datore, di un’impresa con più di quindici dipendenti, deve licenziare più di cinque lavoratori entro centoventi giorni, a causa di una riduzione o di una trasformazione dell’attività o del lavoro, o se l’imprenditore vuole cessare l’attività d’impresa.
Procedure di licenziamento collettivo
Laddove si verifichino una delle due condizioni previste dalla legge che giustifichino l’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, è necessario avviare la procedura legale che prevede anche il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e dei sindacati maggiormente rappresentativi.
L’art. 4 della l. 223 del 1991 disciplina l’avvio della procedura di licenziamento collettivo. Anzitutto, il datore di lavoro comunica per iscritto alle RSA e rispettivi sindacati di categoria: le motivazioni che determinano la situazione di eccedenza di personale; le ragioni per cui non è possibile adottare una misura alternativa al licenziamento; il numero e la qualifica professionale di tutto il personale; le tempistiche necessarie per attuare il licenziamento collettivo; le misure volte a fronteggiare alcune conseguenze del licenziamento; i criteri di calcolo delle somme dovute ai lavoratori da licenziare, diverse da quelle spettanti per legge o per contratto collettivo.
Quando può avvenire il licenziamento collettivo
Una volta ricevuta la comunicazione scritta, entro sette giorni si deve procedere ad un esame congiunto delle parti volto ad appurare che non si possa effettivamente evitare il licenziamento collettivo. L’esame congiunto può svolgersi in sede sindacale, ovvero in via amministrativa se l’esame in sede sindacale ha dato esito negativo.
La legge sollecita le parti a trovare soluzioni alternative all’espulsione del personale tramite la stipula di accordi sindacali che possano anche prevedere l’adibizione dei lavoratori eccedenti a mansioni inferiori, in deroga all’art. 2103 del codice civile.
Terminata la procedura, senza che sia stato raggiunto un accordo collettivo, l’imprenditore può procedere al licenziamento dei lavoratori eccedenti.
Il legislatore, consapevole della difficoltà di selezione dei lavoratori eccedenti, ha individuato dei criteri di scelta, tra cui troviamo i carichi di famiglia, l’anzianità e l’esigenze tecnico produttive ed organizzative.
Buonuscita in caso di licenziamento collettivo
Laddove il licenziamento collettivo dovesse essere impugnato, mediante ricorso depositato dall’ avvocato per il licenziamento, innanzi al Giudice del lavoro e questi dovesse dichiararlo illegittimo per violazione della l. 223 del 1991, ai lavoratori colpiti dal provvedimento di espulsione spetta un indennizzo compreso tra un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità, mentre laddove non sia stata rispettata la norma che impone il preavviso per iscritto il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro.
Quando opporsi al licenziamento collettivo con l’avvocato Federica Barbiero a Torino
Il licenziamento collettivo può essere impugnato entro sessanta giorni, a pena di decadenza, dalla ricezione della comunicazione scritta, mediante qualsiasi atto stragiudiziale purché idoneo a manifestare la volontà del lavoratore di opporsi al licenziamento.
A tal proposito, rivolgendovi all’avvocato del lavoro sarà questi a predisporre l’atto stragiudiziale idoneo a raggiungere tale scopo. Successivamente, decorrono altri cent’ottanta giorni, entro i quali va depositato il ricorso presso la cancelleria del giudice. L’impugnazione giudiziale può essere eseguita solo dall’avvocato munito di procura, a differenza dell’impugnazione stragiudiziale che può essere compiuta anche dal lavoratore.
L’obiettivo che si tenta di conseguire impugnando il licenziamento è quello di ottenere un provvedimento giudiziale di reintegrazione del lavoratore, ovvero nei casi di violazione meno gravi al lavoratore spetta soltanto un risarcimento del danno. Solitamente, è possibile ottenere la reintegra se il licenziamento collettivo è stato intimato in forma orale; se avvenuto a causa della maternità della lavoratrice o per via del matrimonio; se ha natura discriminatoria.
Licenziamento collettivo a Torino – info dall’avvocato Federica Barbiero
Come funziona la procedura di licenziamento collettivo?
Il primo passo da compiere per avviare la procedura di licenziamento collettivo è inviare una comunicazione ai sindacati coinvolti, informandoli della necessità di ridurre il personale e le motivazioni.
Dopo aver inserito le cause del taglio, è opportuno indicare quali sono le figure che si vogliono eliminare.
Entro 7 giorni gli enti preposti possono avviare un esame congiunto che, se da esito negativo, può dare vita a un’ulteriore consultazione di massimo 30 giorni.
A questo punto il datore di lavoro invia la comunicazione di recesso ai dipendenti coinvolti, rispettando il preavviso di legge.
Quando si può fare licenziamento collettivo?
Il licenziamento collettivo può essere attuato solamente da aziende con un numero superiore ai 15 lavoratori, e nel momento in cui vengono licenziati almeno 5 di questi in un periodo di 120 giorni. Bisogna considerare che scatta anche nel caso in cui siano più aziende che sono accorpate in una medesima organizzazione, e quindi bisogna tenere presente il numero totale di dipendenti. I motivi principali attuativi sono unicamente e tassativamente la riduzione o trasformazione dell’attività dell’azienda oppure la cessazione dell’attività produttiva stessa.
Cosa mi aspetta dopo il licenziamento?
Nel caso in cui un dipendente venisse licenziato dal datore di lavoro il rapporto contrattuale stipulato tra le parti continuerebbe a produrre degli effetti.
Il dipendente licenziato avrebbe diritto al TFR (trattamento di fine rapporto) che corrispondono a circa una mensilità per ogni anno di lavoro, oltre che al pagamento dei permessi e delle ferie non goduti, oltre xhe ai ratei delle mensilità aggiuntive. Al dipendente che ha perso involontariamente il lavoro spetta anche la NASpI, che di fatto è un indennizzo che l’INPS elargisce a chi ha perso involontariamente il posto di lavoro.
Quali sono i criteri di scelta del personale da licenziare nel licenziamento collettivo?
Per licenziamento collettivo si intende il licenziamento, da parte di un impresa con più di 15 dipendenti, di almeno 5 lavoratori in un periodo di 120 giorni. In caso di licenziamento collettivo, al fine di decidere quali dipendenti possono essere licenziati, la legge prevede che bisogna affidarsi a dei criteri di scelta delineati dall’articolo 5 della legge 223/1991.
L’individuazione dei lavoratori da licenziare avviene in considerazione delle esigenze aziendali, purché si rispettino i criteri previsti dai contratti collettivi. In mancanza di tali contratti si prenderanno in considerazione i carichi di famiglia; l’ anzianità; le esigenze tecnico-produttive ed organizzative.