Quante volte ti è capitato di dover subire le pesanti attenzioni del datore di lavoro, di schivare gli insulti e di evitare di rispondere al “capo” dopo essere stato demansionato o attribuito a incarichi poco graditi e lesivi della tua dignità?
Se almeno una volta ti sei trovato in questa situazione, sai benissimo come tutti questi comportamenti possono esser fatti rientrare nella nozione di mobbing.
Lavoro: difendersi dal mobbing
Il mobbing sul lavoro è un fenomeno, purtroppo, in costante crescita e che non accenna minimamente a diminuire, proprio perché strettamente legato alla disparità di posizioni tra il lavoratore e il datore di lavoro.
Benché la giurisprudenza di merito e di legittimità appaiono sempre più concentrate a trattare il tema con la necessaria delicatezza, le tutele riservate al lavoratore sembrano ancora troppo scarne per porre freno a una situazione complessa. Chi è vittima di mobbing, infatti, molto spesso ritiene di non avere a disposizioni le armi necessarie per combattere i comportamenti discriminatori posti in essere dal datore di lavoro.
Comportamenti che possono ingenerare nel lavoratore un perdurante stato di ansia e turbamento, spesso sfocianti in depressione e nel timore di subire ulteriori ritorsioni o, addirittura, un licenziamento. Ma come puoi difenderti in caso di mobbing sul posto di lavoro?
Quando è possibile parlare di mobbing e come riconoscerlo
Di derivazione anglosassone, il termine mobbing sta a indicare una pluralità di atti compiuti dal datore di lavoratore e tesi a umiliare, ridicolizzare, ignorare e ledere la dignità del lavoratore.
Questi comportamenti, anche se non ritenuti penalmente rilevanti se considerati singolarmente, hanno come scopo ultimo quello di rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al lavoratore, impedendogli la crescita professionale e gli avanzamenti di carriera.
Tutte queste condotte devono protrarsi nel tempo e non essere singole o isolate, altrimenti verrebbe meno uno dei requisiti fondamentali del mobbing, ovvero la continuità. Ma come riconoscere se sei vittima di mobbing? Tra i casi più frequenti troviamo la forzata inattività del dipendente, l’emarginazione o, addirittura, il demansionamento.
In tutte queste situazioni, il lavoratore avverte sempre più forte il disagio di una crisi a lui non imputabile, traducendosi in uno stato di forte depressione che, spesso, può indurre il dipendente a rassegnare le proprie dimissioni. Difendersi, però, non è una semplice facoltà, ma un vero e proprio obbligo, necessario a evitare che tali condotte si ripetano nel futuro.
Per ottenere una tutela in sede giurisdizionale, il primo passo da compiere è rivolgersi a un avvocato esperto di diritto del lavoro e concordare con lui la strategia più giusta da seguire. In primo luogo, è necessario fondare la propria pretesa su basi quanto più solide possibili.
Gli elementi che configurano il mobbing devono essere circostanziati e verificati attraverso prove documentali quali lettere, email o sms, in mancanza delle quali il ricorso presentato dal lavoratore sarà inevitabilmente rigettato.
Come agire per ottenere il risarcimento del danno
Diverse sono le opzioni a disposizione del lavoratore che si ritiene vittima di mobbing. Innanzitutto, in caso di demansionamento e d’isolamento forzato, dopo aver presentato un ricorso urgente ex articolo 700 del codice di procedura civile, il lavoratore può rifiutarsi di lavorare, dimettersi per causa a lui non imputabile e adire il Tribunale per ottenere il risarcimento del danno.
In questo caso, il giudice deve tener conto del complesso dei danni sofferti dal lavoratore, i quali possono essere sia di tipo patrimoniale sia di tipo non patrimoniale e concernenti il danno da perdita di chance, il danno biologico e quelli derivanti dal mancato guadagno per un tempo prolungato. Laddove il giudice non riuscisse a quantificare esattamente il danno nel suo ammontare, può decidere secondo equità, ovvero risarcendo il lavoratore nella misura in cui lo ritenga opportuno.
Per difendersi dal mobbing, però, il lavoratore può avviare anche una procedura conciliativa prima di presentare il ricorso. In questo modo, al datore di lavoro si intima di cessare gli atteggiamenti pregiudizievoli nei confronti del lavoratore. In mancanza di ciò, il lavoratore si vedrà costretto a ricorrere in Tribunale per far valere i propri diritti e mettere fine a una situazione gravemente lesiva della dignità umana.