Il licenziamento di una dipendente in gravidanza è vietato dalla legge, ma ci sono alcuni casi specifici nel quale il licenziamento delle dipendenti in stato interessante è accolto. Vediamo insieme tutte le casistiche.
Il licenziamento in gravidanza è vietato…
Il licenziamento in gravidanza da parte del datore di lavoro è vietato dalla legge, come esplicita il d.lgs. 151 del 2001, art.54 a tutela delle lavoratrici madri.
Il periodo interessato comprende la gravidanza e il compimento di un anno di età del neonato e non è inerente la conoscenza o meno da parte del datore dello stato interessante della dipendente.
Nel caso in cui un datore di lavoro ha presentato la richiesta di licenziamento senza sapere dello stato interessante della lavoratrice, questa ha il diritto all’annullamento del licenziamento presentando un certificato medico che dimostri che, al momento della richiesta di rimozione dall’incarico, la dipendente era in stato interessante.
Il licenziamento è vietato anche nei casi di adozione o affidamento, per la durata di un anno dall’arrivo del minore nella famiglia.
Ci sono molte leggi a favore della tutela delle madri lavoratrici:
Con la legge n° 1204 del 30 dicembre 1971 vengono tutelate tutte le lavoratrici dipendenti di un lavoro sia pubblico che privato, quindi le lavoratrici che lavorano nel campo dell’amministrazione statale, regionale, provinciale e comunale; le dipendenti di lavori privati sotto aziende, artigiani, industrie e commercianti; le lavoratrici agricole, quelle in cooperativa, nonché le apprendiste. In particolare, per le lavoratrici che hanno un impiego pubblico, ogni contratto ha il uo articolo sulla maternità, ai fini di esplicare le condizioni migliori per quanto riguarda l’indennità economica, i permessi e i riposi.
La maternità viene tutelata ed è estesa con le sue norme, anche alla paternità grazie alla legge 53/2000.
In più, la dipendente in gravidanza, dopo aver presentato un certificato medico al suo datore di lavoro per informarlo della sua condizione, ha diritto ad una mansione che sia salubre e che non possa in alcun modo essere nociva né a lei né al bambino.
Nel caso in cui l’ambiente di lavoro non sia adeguato alla lavoratrice in stato interessante, questa può richiedere un trasferimento momentaneo ad altra mansione per il periodo della gravidanza e per i successivi 7 mesi dopo il parto, rivolgendosi all’ispettorato del lavoro. In questo caso, o nel caso in cui la dipendente abbia problemi di salute nei primi mesi di astensione obbligatoria, può essere anche concesso il congedo di maternità anticipato a seconda dei casi.
Il congedo di maternità dura in generale 5 mesi e l’astensione è obbligatoria per i 2 mesi prima del parto e i 3 mesi dopo il parto. La lavoratrice può anche posticipare di un mese l’estensione per stare 4 mesi con il bambino, pur presentando entro i 7 mesi di gestazione un certificato medico della ASL.
Durante l’astensione l’indennità percepita e sostitutiva dello stipendio sarà l’80% della retribuzione media.
…ma non sempre. Quando una dipendente in gravidanza può essere licenziata.
Nonostante lo stato di gravidanza, una dipendente può essere licenziata per colpe gravi, oppure nel caso di cessazione dell’attività aziendale, per lo scadere dei termini del contratto o per il periodo di prova dove la lavoratrice non viene ritenuta idonea. Per colpe gravi s’intendono quelle che rientrano nelle giuste cause che consentono al datore di licenziare un dipendente, come quelle più eclatanti di furto ai danni del datore di lavoro. Per quanto concerne invece la fine del rapporto di lavoro per una prova con esito negativo, la dipendente in stato di gravidanza deve ricevere le motivazioni che hanno portato a considerare come negative le sue prestazioni lavorative.
Se il tuo licenziamento è stato illegittimo sei nella posizione di rivolgerti ad un avvocato del lavoro o ai sindacato per contestare il trattamento subito.
Lo stesso vale nel caso in cui si sia subito mobbing per dare le dimissioni.
Per mobbing s’intendono comportamenti abusanti, sia fisici che psicologici, ad atto di colleghi o datori di lavoro che, protratti nel tempo, vanno ad intaccare la dignità professionale ed esistenziale del lavoratore che lo subisce.
E’ spesso un fenomeno molto sottile, altre volte invece evidente, e può manifestarsi in forme quali l’emarginazione, l’umiliazione oppure il demansionamento.
Quando la legge non viene rispettata
Le donne incinte sul lavoro spesso vengono discriminate perché giudicate come non completamente disponibili sul lavoro, o non completamente efficiente a causa delle distrazioni date dalla nuova situazione.
Purtroppo, può anche succedere che, nonostante il divieto di licenziamento, questo venga intimato.
In questo caso, valgono le stesse considerazioni fatte precedentemente: se il licenziamento viene intimato nel periodo di gravidanza della dipendente, viene considerato nullo, come recita l’articolo 5 dell’art. 54, almeno per quanto riguarda i casi espressi dal citato articolo nel terzo comma.
La lavoratrice ha inoltre diritto ad una serie di tutele nei suoi confronti come prevede l’articolo 18 della legge 300/1970.
Quindi, se il licenziamento viene considerato in qualche modo discriminatorio, la dipendente avrà diritto a riottenere il posto di lavoro e tutte le retribuzioni maturate nel periodo di rapporto di lavoro che la legge non considera interrotto.
Nel caso tu abbia subito un allontanamento discriminatorio, hai l’opportunità di impugnare il licenziamento.
Per evitare ogni dubbio, nel caso in cui sei stata licenziata mentre eri in stato di gravidanza, recati da un avvocato esperto in diritto del lavoro con la lettera di licenziamento e valuta insieme a lui il modo migliore per agire in questo delicato momento.