Il licenziamento ritorsivo si è trovato ad essere motivo di discussione interpretativa nell’ambito della giurisprudenza moderna, dopo l’introduzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, meglio conosciuto col nome di riforma del Jobs Act.
Il licenziamento ritorsivo: cos’è
Il licenziamento ritorsivo si equipara e si considera estensione diretta del licenziamento discriminatorio. L’articolo a cui si fa riferimento per giudicare queste situazioni, ritenute estremamente gravi, è il Decreto Legislativo 23/2015, precisamente al comma 2 dell’articolo 2. Tale decreto determina gli estremi entro i quali può essere ritenuto degno di sanzione il datore di lavoro che, basandosi su giudizi discriminanti e lesivi della dignità personale, utilizza lo strumento del licenziamento contro un lavoratore che non lo merita per motivi oggettivi.
Caratteristiche del licenziamento discriminatorio e punti in comune col licenziamento ritorsivo
Il licenziamento discriminatorio è quella situazione per cui un datore di lavoro, senza nessun altro motivo valido, licenzia un lavoratore basandosi sulla sua identità di genere, sul suo credo religioso, sul suo credo politico o sul suo orientamento sessuale. Per fare un esempio pratico: se il proprietario di un negozio licenzia una dipendente dopo aver scoperto che è una transessuale, e non ci sono altre motivazioni oggettive, la donna può fargli causa, sicura di vincerla, basandosi sull’accusa di essere stata vittima di una discriminazione.
Se, invece, un lavoratore dipendente asserisce, in Tribunale, di essere stato licenziato perché tifoso di una squadra di calcio direttamente avversaria a quella del suo capo, non ci sono gli estremi per parlare di discriminazione, in quando la fede calcistica non rientra tra gli elementi ritenuti sensibili di discriminazione per la legge. In questo caso ipotetico, però, se fosse vero, si potrebbe valutare il caso specifico, prove alla mano, per capire se possa rientrare nel discorso del licenziamento ritorsivo.
Se le prove dimostrassero che il licenziamento è avvenuto dopo una lite a proposito del calcio, e che quello è l’unico motivo per cui il lavoratore è stato licenziato, si potrebbe parlare di ritorsione o rappresaglia. Un altro esempio pratico: se un lavoratore a cui non vengono corrisposti gli straordinari, a un certo punto denuncia il datore di lavoro presso i sindacati e questi, per vendetta, lo licenzia, è un caso puro di licenziamento ritorsivo e viene trattato a norma di legge considerando lo stesso decreto a cui si fa capo per il licenziamento discriminatorio.
Gli estremi fondamentali per poter considerare un licenziamento ritorsivo
Un licenziamento, per essere considerato ritorsivo ed essere trattato giuridicamente di conseguenza, deve avere delle precise caratteristiche:
- deve essere stato fatto per vendetta: in seguito ad una discussione, ad una denuncia o minaccia di denuncia, a causa di un’azione corretta del lavoratore interpretata dal capo come lesiva. Rientrano in questi casi, ad esempio: il licenziamento fatto a causa di una lite tra il datore di lavoro e un familiare del lavoratore, la denuncia di un lavoratore per un’azione scorretta nei suoi confronti, la denuncia di un lavoratore per un’azione scorretta del suo datore di lavoro nei confronti dei suoi soci, collaboratori o di altri dipendenti
- la vendetta, o ritorsione, deve essere l’unico motivo per cui il lavoratore è stato licenziato. Se il datore di lavoro fornisce motivi validi ed oggettivi, il licenziamento viene ritenuto un suo diritto. Se, ad esempio, il lavoratore in oggetto ha collezionato diverse sanzioni disciplinari per ritardi, comportamenti scorretti o inadempimento alle sue mansioni, decade la possibilità di considerare il licenziamento esclusivamente ritorsivo
- il lavoratore che ha subito un licenziamento ritorsivo deve portare le prove di quanto asserisce, anche supportate dalle dichiarazioni di eventuali testimoni
Cosa si deve fare se si pensa di essere vittime di un licenziamento ritorsivo
Nel caso ci si trovasse nella sgradevole situazione di essere stati licenziati per ritorsione, bisogna rivolgersi ad un avvocato che, ascoltati i fatti e raccolte le prove, intenterà causa all’azienda, al datore di lavoro o al dirigente dell’ufficio del personale direttamente responsabile del licenziamento. Nel caso in cui il licenziamento risultasse giustificato o non rientri, per la mancanza di qualche requisito, nell’ambito del licenziamento ritorsivo, sarà lo stesso avvocato a disincentivare il lavoratore a fare causa.
Pertanto, se si ha il dubbio di essere stati ingiustamente licenziati, è sempre consigliabile e conveniente chiedere un parere autorevole sulla specifica situazione.
Cosa succede se il giudice accerta il licenziamento ritorsivo
Se si intenta causa al datore di lavoro e il giudice stabilisce che si è trattato, effettivamente, di un licenziamento ritorsivo, il datore di lavoro sarà costretto a:
- riassumere immediatamente il lavoratore che, a quel punto, può scegliere se riaccettare l’incarico o se barattarlo con 15 mensilità, comunicando questa decisione entro 30 giorni dall’invito ufficiale a riprendere il proprio posto lavorativo
- corrispondere al lavoratore tutte le mensilità dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione in organico, scalando dal totale la somma delle retribuzioni eventualmente ottenute da un altro lavoro svolto nel frattempo
- regolarizzare la posizione contributiva del lavoratore, includendovi i mesi a partire dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione
La reintegrazione a seguito di un licenziamento ritorsivo è un diritto
La Legge considera il licenziamento ritorsivo, al pari di quello discriminatorio, un atto di violenza, di abuso di potere e di scorrettezza molto grave. Viene considerato un atto lesivo dei diritti umani e della dignità personale, pertanto non si concedono sconti in casi di effettivo reato e si tutela completamente la parte lesa. La possibilità di scegliere tra reintegrazione in forza lavoro o corresponsione di 15 mensilità, è una facoltà offerta al lavoratore nella comprensione empatica ed umana della difficoltà a riprendere un posto di lavoro sotto la diretta dirigenza di una persona che gli ha praticato una prepotenza.