Se sei un datore di lavoro probabilmente sei piuttosto restio a stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato perché vi sono dei forti ostacoli al licenziamento, o almeno vi erano visto che le tutele sono state mitigate, ma licenziare un dipendente a tempo indeterminato è comunque possibile, ecco quando.
In primo luogo si può licenziare il dipendente, anche se ha il contratto a tempo indeterminato, per motivi disciplinari. Si parla in questi casi di licenziamento per giusta causa.
Il licenziamento per giusta causa è possibile quando il lavoratore è stato protagonista di un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche temporanea.
Ad esempio, si verifica questa ipotesi nel caso in cui il lavoratore sia stato protagonista di condotte lesive nei confronti del datore di lavoro o di altri lavoratori, oppure nel caso in cui si sia verificato un furto in azienda. Il licenziamento per giusta causa può avvenire anche senza preavviso, si parla in questi casi di licenziamento in tronco.
Il lavoratore a tempo indeterminato può essere licenziato anche in caso di giustificato motivo soggettivo. L’ipotesi riguarda il lavoratore che abbia avuto una condotta meno grave rispetto a quelle viste in precedenza, ma comunque tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Un’ipotesi piuttosto frequente è quella del lavoratore che abusa dei permessi o nel caso in cui sia stato superato il periodo di comporto (cioè ha superato il limite di permessi per malattia). La Corte di Cassazione ad esempio ha ritenuto legittimo il licenziamento nel caso in cui per ben tre volte il dipendente in malattia è risultato assente al momento delle visite fiscali INPS. In questo caso il licenziamento avviene con preavviso anche se entrambe le parti possono rinunciare a tale periodo. Durante il periodo di preavviso il dipendente può continuare le sue normali mansioni e ha diritto alla retribuzione.
Puoi licenziare il dipendente con contratto a tempo indeterminato nel caso di ristrutturazione aziendale o in caso di crisi aziendale. Si tratta di due ipotesi diverse, infatti la crisi aziendale consiste in una particolare difficoltà che impone al datore di lavoro di fermare la produzione, anche di un solo ramo, o comunque ridurre il personale. La ristrutturazione aziendale invece consiste nel cambiare l’organizzazione del lavoro anche senza che vi sia una crisi.
A questo proposito è bene ricordare che in base a una sentenza della Corte di Cassazione è possibile licenziare dipendenti con contratto a tempo indeterminato anche nel caso in cui non vi sia crisi aziendale, ma il datore di lavoro avverta comunque di organizzare il lavoro e quindi fare a meno di alcune mansioni. Prima di poter licenziare è necessario comunque verificare che il dipendente non possa essere adibito a diverse mansioni. Deve essere sottolineato che in questo caso non può essere assunto un altro dipendente con le stesse mansioni di quello che è stato licenziato.
Deve essere ricordato che avverso il licenziamento è possibile proporre ricorso, ma mentre in passato, nel caso in cui il giudice ritenesse il licenziamento illegittimo, era previsto il reintegro del lavoratore, oggi tutto cambia perché con le modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori il reintegro è una facoltà del datore di lavoro, qualunque sia la dimensione dell’azienda.
In base alle modifiche apportate al decreto legislativo 23 del 2012 resta l’obbligo di reintegro solo nel caso in cui vi sia una totale insussistenza del fatto contestato al lavoratore. Ad esempio, nel caso in cui si dimostri che il datore di lavoro non aveva subito nessun furto, che lo stesso proprio non vi è stato e che in alcun modo il datore di lavoro poteva imputare al lavoratore tale comportamento. Inoltre, il licenziamento è nullo, quindi non valido, nel caso in cui si sia trattato di un licenziamento discriminatorio, quindi avvenuto per motivi religiosi, etnici, razziali oppure nel caso di licenziamento di donna in seguito a gravidanza. In questo caso, essendo l’atto nullo, quindi come non posto in essere, è obbligatorio il reintegro con risarcimento del danno corrispondente alle mensilità perse.
In tutti gli altri casi il datore di lavoro, se anche sarà dimostrato che il licenziamento era ingiustificato, non sarà costretto a reintegrare il lavoratore ma a scegliere tra il reintegro oppure il pagamento di un’indennità stabilita dal giudice e corrispondente ad un minimo di 12 mensilità e massimo 24 mensilità. Il numero di mensilità dipende anche dall’anzianità in azienda maturata dal lavoratore. Questa disciplina si applica ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2012, mentre per coloro che sono stati assunti prima dell’entrata in vigore di tale normativa, si continua ad applicare l’obbligo di reintegro del lavoratore sul luogo di lavoro del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo così come previsto dalla legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) prima delle modifiche del 2012.