In linea generale, la legge dispone che il dipendente malato non possa essere licenziato a meno che non abbia esaurito i giorni di malattia previsti dal suo contratto collettivo a titolo di comporto. Oltre al licenziamento per superamento del comporto, previsto dal codice civile, vi è un altro caso in cui è legittimo licenziare il dipendente per continue assenze sul lavoro, anche se l’assenza è inferiore al limite consentito dal ccnl, ed è il licenziamento per scarso rendimento. Quest’ultima causa di recesso è frutto delle recenti interpretazione della giurisprudenza.
Licenziamento per superamento del comporto
La normativa in materia di licenziamento del dipendente che si assenta per malattia è contenuta nell’art. 2110 del codice civile. La legge dispone insindacabilmente l’impossibilità di licenziare per malattia e stabilisce un periodo di tempo (comporto) in cui perdura il diritto di conservare il posto di lavoro. Il comporto, la cui durata è stabilita dalle disposizioni contenute nel codice civile, dalla contrattazione collettiva o, talvolta, dagli usi o dal giudice in via equitativa, è l’arco temporale al di sotto del quale il datore di lavoro non può licenziare il dipendente per le assenze dal lavoro, sia nel caso di una sola affezione continuativa, sia in quello del susseguirsi di vari episodi morbosi (eccessiva morbilità).
Entro questo limite, il licenziamento del lavoratore malato si configura solo per motivi non legati alla malattia, come un’esplicita necessità dell’impresa (licenziamento per giustificato motivo), oppure per un inadempimento da questi commesso, come non essersi fatto trovare a casa per le visite fiscali (licenziamento disciplinare).
Superato il periodo di comporto, il dipendente in malattia è immediatamente licenziabile anche senza dover fornire una ragione del recesso: basta che nella lettera di licenziamento siano indicati i giorni e la durata dell’assenza. Al lavoratore è però concesso superare la durata del comporto qualora lo stato di malattia dipenda, o sia stato aggravato, dall’azienda, che non ha saputo garantire un ambiente di lavoro sicuro. In questo caso, il dipendente può appellarsi all’infortunio sul lavoro, all’assenza di misure di tutela della salute e della sicurezza, e così via.
Licenziamento per scarso rendimento
Recenti sentenze della Corte di Cassazione e provvedimenti del Tribunale di Milano hanno incrinato le certezze dettate dal codice civile, aprendo la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente per continue assenze sul lavoro che determinano uno scarso rendimento.
Con la sentenza del 4 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto lecito il licenziamento inflitto al prestatore di lavoro (anche se questi non aveva superato il periodo di comporto) che si era ripetutamente assentato per malattia, agganciando strategicamente le assenze ai giorni di riposo (c.d. assenze a macchia di leopardo). Con un’altra sentenza risalente al 2016, la Suprema Corte ha sancito la legittimità del licenziamento di un dipendente che si assentava per malattia per lunghi periodi intervallati da brevi ritorni, pregiudicando le prestazioni lavorative e arrecando danno all’azienda.
In entrambi i casi sopraccitati si parla di licenziamento per scarso rendimento che si verifica quando il dipendente ha un rendimento medio molto più basso dei suoi colleghi, tale da ostacolare i processi produttivi aziendali e costringere l’azienda ad un blocco o, per evitarlo, ad affidare ad altri le mansioni scoperte.
Il datore di lavoro può licenziare il dipendente che si presenta in azienda solo sporadicamente, prestando servizio a singhiozzo, solo se l’attività resa da quest’ultimo è quantitativamente e qualitativamente insufficiente per i fini aziendali. In pratica, quando l’assenza reiterata per malattia determina uno scarso rendimento, viene meno l’obbligo della “diligente collaborazione” sancito nel codice civile e il licenziamento è legittimo.
Come licenziare il malato cronico per scarso rendimento
La SupremaCorte ha stabilito che, per licenziare un dipendente per continue assenze sul lavoro prima della fine del comporto, il datore deve provare che tali assenze impediscono al lavoratore di svolgere correttamente le sue mansioni e di raggiungere gli standard di rendimento richiesti, impattando negativamente sull’organizzazione aziendale.
Lo scarso rendimento deve essere dimostrato, come nei casi non attribuibili alle assenze reiterate, in modo oggettivo e quantificabile attraverso l’analisi complessiva dell’attività svolta dal dipendente.
La violazione dell’obbligo della diligente collaborazione deve essere attribuibile esclusivamente al dipendente in conseguenza del divario tra gli obiettivi produttivi prefissati e quanto effettivamente conseguito dal lavoratore, indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di produzione ma tenendo conto del confronto tra l’attività media del malato cronico e quella degli altri dipendenti. Se lo scarso rendimento non è oggettivamente dimostrabile, il lavoratore deve essere reintegrato nell’azienda con effetto immediato.
Conclusioni
Ricapitolando, è lecito licenziare un dipendente che si assenta spesso dal lavoro, anche se nei limiti del periodo di comparto, nel caso in cui le sistematiche assenze pregiudichino la prestazione lavorativa, rendendola insufficiente in termini di efficienza e non utizzabile dall’azienda.
Tuttavia, il licenziamento per assenze a macchia di leopardo non è immediato: il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare in modo oggettivo che l’alto numero di assenze ha generato difficoltà per l’azienda a livello organizzativo.