Licenziare un dipendente è sempre un momento molto particolare. Per saper gestire al meglio la situazione è necessario valutare diversi elementi prima di prendere la decisione più giusta, a meno che lui non abbia commesso un fatto grave. È bene, prima di passare al comportamento che il datore di lavoro dovrà tenere, nel caso in cui il dipendente possa rivalersi contro di lui, esaminare le cause per il quale licenziare è concesso, senza andare incontro ad alcuna ritorsione.
Il licenziamento del dipendente
Il licenziamento individuale di un lavoratore che possegga un contratto di lavoro subordinato può avvenire per giusta causa o giustificato motivo. Questo dice la legge.
Quando si parla di giustificato motivo, abbiamo la possibilità di optare per un licenziamento multiplo. Si tratta di un fatto che potrebbe rivelarsi un danno per più di un dipendente, anche se non è equiparabile ad un licenziamento collettivo. Per licenziare con questa causa è necessario fornire ai dipendenti un preavviso, come viene regolamentato dai contratti di lavoro stipulati tra le due parti. Se non viene menzionato il preavviso, il datore di lavoro sarà obbligato in sede di contenzioso, a pagare la retribuzione spettante.
Il giustificato motivo è oggettivo quando si verifica un’esplicita necessità relativa all’impresa. Per cui, se vi è una ragione che vada a ledere l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro stesso, il datore di lavoro potrà optare per il licenziamento. Caso diverso è invece, il giustificato motivo soggettivo. Questo riguarda un inadempimento notevole circa gli obblighi contrattuali del dipendente verso il suo datore di lavoro e l’azienda.
Il giustificato motivo soggettivo non è così grave da portare al licenziamento senza preavviso ed in tronco. Si tratta di un’azione con finalità disciplinare. Si lega all’inadempienza del lavoratore rispetto al contratto che avrà firmato. Si ammette il licenziamento in questo caso, quando si ricorre nel superamento del periodo di comporto, considerato come l’arco di tempo in cui il lavoratore conserva il posto (ad esempio la malattia). Quando scade questo periodo è possibile licenziare, a meno che non vi sia la violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
Il giustificato motivo oggettivo invece, consiste nella situazione in cui il datore di lavoro ritenga necessario il licenziamento di un dipendente. Quest’ultimo però, avrà la facoltà di contestarlo chiedendogli di dimostrare dinanzi ad un giudica il motivo del licenziamento. In questo caso il datore di lavoro dovrà avere l’onere della prova. Sarà lui quindi, a dover dimostrare che vi siano delle ragioni plausibili ad origine del licenziamento e che questo motivo abbia un nesso di causalità con il rapporto lavorativo.
Cosa accade in caso di ricorso? In questo caso sarà il giudice a controllare le ragioni e a considerarle plausibili e veritiere. C’è da dire anche che non potrà indagare a fondo sulle scelte che avrà fatto il datore di lavoro.
Il ricorso del lavoratore in seguito al licenziamento
Il dipendente, nel caso in cui ritenga giusto il suo licenziamento potrà rivolgersi ad un avvocato esperto in diritto del lavoro o al suo sindacato di riferimento. Dovrà in questo caso, inviare al suo datore di lavoro una comunicazione entro sessanta giorni dal licenziamento, dove verrà detto che si intenderà impugnare il licenziamento.
Dopo questo primo passaggio il lavoratore potrà scegliere di procedere in via amministrativa o giudiziaria. Quando procede per via amministrativa chiederà al datore di lavoro un tentativo di conciliazione o l’arbitrato. Potrà fare questo entro centottanta giorni dopo la data dell’impugnazione. Qualora il datore di lavoro rifiuti la conciliazione o non vi è possibilità di accordo, il dipendente percorrerà la via giudiziaria. Potrà andare in giudizio entro sessanta giorni dopo la data della mancata intesa.
La via giudiziaria prevede che la situazione venga presa in mano da un giudice del Tribunale del Lavoro. Quest’ultimo cita le parti, dopo aver acquisito le motivazioni, cercherà un iniziale accordo. Se non vi è possibilità di accordo, vi sono delle udienze che prevedono l’esame di prove e l’audizione di testimoni che entrambe le parti potranno citare. Il giudice infine emetterà un’ordinanza. Con questa verrà dichiarato l’esito del licenziamento: legittimo o illegittimo. Chi perde la causa potrà presentare opposizione all’ordinanza emessa. In questo caso il giudice convocherà nuovamente le parti, cercherà di trovare un accordo tra loro e se non è possibile, emetterà la sentenza. Se non dovesse essere soddisfacente la sentenza, sarà possibile ricorrere all’appello ed infine alla Cassazione.
Cosa potrà fare il datore di lavoro in questo caso?
Veniamo al punto in cui il datore di lavoro dovrà agire contro il dipendente.
Se il licenziamento viene dichiarato illegittimo previo ricorso del dipendente, il datore di lavoro dovrà rifarsi alla tutela reale od obbligatoria. Per cui vi è il reintegro del lavoratore e un risarcimento pari alla retribuzione che egli avrà maturato, compresi i contributi che non sono stati versati dalla data del licenziamento a quella dell’eventuale reintegro, comprese cinque mensilità complete. Vi è anche la possibilità di optare per il risarcimento senza alcun reintegro, previo tentativo di conciliazione.
È prevista la discrezionalità del giudice circa la eventualità del reintegro. Per cui se vi sono licenziamenti per cause disciplinari o per giustificato motivo o giusta causa, il giudice potrà decidere di optare per un’indennità che non superi due anni.
Quando vi è la tutela obbligatoria, sarà necessario riassumere entro tre giorni il dipendente, procedendo alla liquidazione di una mensilità pari alla ultima, nella misura di quattordici. Siamo in questo caso quando l’azienda rientra nelle piccole e medie imprese.