Per cessare il rapporto di lavoro con un tuo dipendente puoi intimargli il licenziamento. In buona sostanza, attraverso il licenziamento il datore di lavoro pone fine alla prosecuzione del rapporto di lavoro, senza che vi sia accordo formale con il proprio lavoratore. Le motivazioni che danno luogo al licenziamento sono molteplici. Talvolta puoi intimare il licenziamento quale sanzione e conseguenza del comportamento tenuto dal tuo lavoratore (si parla infatti di licenziamento disciplinare) ma spesso il licenziamento deriva da questioni economiche e da ragioni che riguardano l’organizzazione dell’azienda.
In quest’ultimi casi si configura il licenziamento per ragioni economiche, o per giustificato motivo soggettivo.
Licenziamento per mancanza di lavoro
Quando il licenziamento prescinde dalla condotta tenuta dal tuo lavoratore e riguarda ragioni strettamente economiche e più in generale l’organizzazione aziendale, si può licenziare per motivazioni imprenditoriali che includono l’organizzazione dell’azienda e che portano alla mancanza di lavoro. Il numero delle aziende che si trovano ad affrontare periodi di crisi è sempre più crescente. Spesso, infatti, le imprese sono costrette a sopprimere determinate unità e a ridurre conseguentemente il personale, in quanto divenuti troppo costosi e antieconomici. In tutti questi casi i posti di lavoro possono cessare per motivazioni riguardanti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il funzionamento aziendale.
Tuttavia, è necessario che tali ragioni siano obiettive e non pretestuose, ovvero semplicemente finalizzate a sbarazzarsi dei dipendenti. A tal fine, il datore dovrà essere costretto a liberarsi dei suoi dipendenti e di non averli potuti ricollocare in altri rami della sua azienda. Pertanto, non basta che il datore si limiti a riorganizzare l’azienda ma è fondamentale che il soggetto licenziato non sia più utile all’interno del globale processo produttivo.
Infatti, sul datore grava un preciso obbligo di ripescaggio, ovvero di reimpiegare il lavoratore in un altra posizione lavorativa. Ove il ripescaggio non diventa attuabile, il licenziamento per mancanza di lavoro può dirsi valido e legittimo. Questa tipologia di licenziamento si basa quindi sulla volontà del datore di riorganizzare la propria azienda e sull’impossibilità di ricollocare il lavoratore a svolgere altre mansioni.
Licenziamento motivazioni economiche
La facoltà del datore di riorganizzare la propria azienda non potrà essere contestata dal singolo lavoratore. La scelta sulle migliori strategie da adottare per gestire un’impresa rientrano nella piena libertà del datore. Il lavoratore potrà contestare solo il fatto di non essere stato riutilizzato a seguito del riordino aziendale. Si pensi, a tal proposito, il caso in cui il datore di lavoro licenzi un lavoratore per motivazioni economiche e a distanza di pochi giorni assuma un nuovo lavoratore con figura professionale analoga.
Si comprende bene che in questo caso il datore non abbia rispettato l’obbligo di ripescaggio e che il licenziamento sia invalido. Quando sussistono i presupposti per intimare il licenziamento per mancanza di lavoro il datore è tenuto a comunicarlo al lavoratore. Inoltre, il datore dovrà accompagnare tale comunicazione con le motivazioni che hanno portato al licenziamento. La comunicazione va fatta per iscritto e non hanno valore, ai fini di legge, le intimazioni fatte verbalmente. Dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione del licenziamento avrà a disposizione 60 giorni di tempo per contestarla e quindi per impugnare il licenziamento, sempre con comunicazione scritta. Successivamente, entro il termine di 180 giorni, il lavoratore dovrà intraprendere un tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro o richiedere un arbitrato.
In caso di mancata conciliazione il lavoratore, per contestare il licenziamento, dovrà proseguire l’azione davanti al tribunale del giudice del lavoro competente. In questo caso depositerà un ricorso impugnando la legittimità del licenziamento. A seguito delle Legge Fornero se il giudice ritiene il licenziamento illegittimo condanna il datore al pagamento delle indennità, in misura variabile, che tengano conto dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore.
Il giudice può altresì condannare, nei casi più gravi, al reintegro del lavoratore nel posto di lavoro. Dal 7 marzo del 2015 è stata introdotta la
disciplina del jobs act, in base alla quale, in caso di licenziamento illegittimo, il giudice potrà soltanto condannare il datore al pagamento di una indennità, non inferiore a 4 mensilità e non superiore a 24. Pertanto, il giudice non potrà condannare il datore alla reintegra del lavoratore.
Tuttavia, tali regole si applicano quando l’azienda disponga di alcuni requisiti dimensionali, ovvero occupi più di 15 dipendenti, 5 se imprenditore agricolo in ciascuna unità, sede o stabilimento e, in ogni caso, occupi complessivamente più di 60 dipendenti.