Il licenziamento è la sanzione più estrema con cui il datore di lavoro decide di porre fine al rapporto contrattuale col lavoratore: si tratta nel dettaglio di un atto unilaterale con tanta di motivazione da redigere in forma scritta ab substantiam, pena l’invalidità del provvedimento.
Il lavoratore che vuole contestare il licenziamento deve inviare entro 60 giorni una comunicazione al datore di lavoro, con la quale lo informa del suo disaccordo. Nei 180 giorni successivi, ha l’obbligo inoltre di depositare il ricorso presso la Cancelleria del Tribunale, informando in questo modo il giudice di voler proporre un’impugnazione; dovrà in aggiunta esperire al contempo una richiesta di conciliazione o un arbitrato al datore di lavoro. Starà a quest’ultimo decidere se revocare il licenziamento o confermarlo.
Le cause del licenziamento disciplinare sono principalmente due: giustificato motivo soggettivo e giusta causa. Il primo elemento, disciplinato all’articolo 3 della legge 604/1966, consiste in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore subordinato. In quest’ipotesi il datore, con giusto preavviso, ha il diritto di licenziare il dipendente che ha violato i vincoli nascenti dalla stipula del rapporto di lavoro.
La seconda fattispecie che integra le ipotesi di licenziamento disciplinare, quella della giusta causa ex art. 2119 c.c., si basa invece su di un inadempimento del lavoratore di rilevante importanza, molto più grave di quello per giustificato motivo. In questo caso al datore è consentito recedere dall’accordo contrattuale senza preavviso alcuno nei confronti del suo dipendente.
La materia in questione è stata più volte modificata e rivisitata nel corso degli anni, ma le tappe di riferimento rimangono tutt’ora tre. Vengono in rilievo a tal proposito la legge numero 300 del 1970, che dà il via al cosiddetto “Statuto dei Lavoratori“, la legge 92/2012, così come riformata dall’allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero e, da ultimo, il decreto legislativo numero 81/2015, conosciuto anche come “Jobs Act“. A seconda che il dipendente a tempo indeterminato sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015 si applica un regime di tutela differenziato.
Tutela per il lavoratore indeterminato prima del 7 marzo 2015
Per il lavoratore assunto prima di suddetta data viene in rilievo la disciplina contenuta nello Statuto dei Lavoratori modificata dalla riforma Fornero (legge 92/2012): occorre a tal proposito operare un’ulteriore distinzione tra imprese che contano più di 15 dipendenti o meno. Nella prima fattispecie si applica, come già anticipato, l’art. 18 l.300/1970: qualora manchino giustificato motivo soggettivo o giusta causa per insussistenza del fatto contestato, il lavoratore può chiedere il reintegro e un indennizzo fino ad un massimo di 12 mensilità.
Nell’ipotesi di licenziamento discriminatorio o adottato in circostanze che non lo consentirebbero (ad esempio a causa di uno sciopero o per maternità) il dipendente può ricorrere in giudizio per domandare il reintegro e una tutela monetaria non inferiore a 5 mensilità. È doveroso far presente che in sostituzione al reintegro è possibile optare per un’indennità sostitutiva di 15 mensilità. Nelle fattispecie in cui non ricorrono gli estremi né per giustificato motivo soggettivo né per giusta causa, s’incappa in un licenziamento illegittimo: la tutela obbligatoria standard prevede in questo caso un’indennità risarcitoria compresa tra le 12 e le 24 mensilità.
Nelle imprese con meno di 15 dipendenti, qualora manchino i due elementi idonei a far nascere il licenziamento disciplinare o s’incorra in errori procedurali è previsto l’annullamento del licenziamento con conseguente riassunzione del lavoratore entro tre giorni oppure un risarcimento che va dalle 2,5 alle 6 mensilità.
Tutela per il lavoratore indeterminato dopo il 7 marzo 2015
Per tutti i lavoratori che hanno stipulato un contratto di lavoro che non prevede una clausola di termine finale, viene applicato una regolamentazione definita “a tutele crescenti”, come disciplinato dal decreto legislativo 83/2015 ad opera del governo Renzi.
Nell’ipotesi di licenziamento illegittimo al dipendente spetta un’indennità pari a 2 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio. In tutti gli altri casi, è possibile ricorrere dinanzi al giudice per ottenere un’indennità che va da un minimo di 4 fino ad un massimo di 24 mensilità. Qualora si presentino nel provvedimento disciplinare dei vizi legati alla sua procedura di conclusione, è possibile ottenere una somma monetaria da 2 a 12 mensilità, con precisione una per ogni anno di servizio.
Contrariamente a quanto esposto poc’anzi, in questo regime la reintegrazione è possibile solamente quando si è dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, assieme ad un’indennità risarcitoria fino a 12 mensilità. La reintegrazione diventa, da regola qual era, una mera eccezione.